Le compagnie lucane IAC e L’Albero affrontano il tema della fuga. Mettono in scena ognuna secondo il proprio approccio creativo. Fuga dalle regole, dalle costrizioni, da noi stessi, da quello che ci fa star bene, per paura che si trasformi in ciò che potrebbe ucciderci.
Spaccati di vita di migranti, che si amalgamano a storie d’amore e di sogni che non vogliono infrangersi. Comun denominatore l’individualismo dilagante che questa società ci impone, ma soprattutto la voglia di ritrovare l’altro, la voglia di trovare forza di fidarsi dell’altro.
Pochi soggetti in scena, tutti strumenti per agire in maniera mai semplicemente evocativa. Le musiche si uniscono a gruppo dei sette attori/non attori diventandone l’8°. Insieme rimandano al pubblico una carica di energia esplosiva che riempie la scena e a tratti riesce ad andare oltre.
Nel lavoro messo in scena dalla compagnia L’Albero vengono proposti 3 nuclei molto diversi tra loro. Storie che vogliono raccontare la fuga declinandola in modi diversi per portare lo spettatore al guardarsi dentro e scoprire qual è la sua fuga personale.
L’impianto scenografico più che scarno è quasi assente, essenziale. Tre cubi sfruttati in modo diverso, mai scontato e sempre utile all’azione scenica. Gli attori si muovono da una storia all’altra mostrando una buona padronanza del corpo che però non sempre appare ben finalizzata. Ricordiamo comunque che si tratta di due studi, e non spettacoli completi. Curiosi dunque di assistere all’esito finale di entrambi.